L’iniziazione forzata: perché i giovani gay finiscono per imparare (quasi) sempre da un uomo più grande
Desiderio, potere e asimmetria: il rito di passaggio non detto dell’omosessualità in una società di gotta che non la normalizza. E la conseguente disgregazione dell’assetto intrapsichico.
Il rituale silenzioso: crescere nell’ombra di un uomo più grande
Call Me by Your Name mi ha fatto crescere prima ancora che io potessi leggere qualunque cosa della mia vita esperienziale nel mio corpo di tredicenne, quando la mia sessualità era ancora un campo inesplorato, sospeso tra istinto e assenza di linguaggio. Perché con Elio ho condiviso molte cose: l’ebraismo, la pianura padana, la fragilità della scoperta di sé, della crescita e del cambiamento. E un uomo più grande. Nel mio caso, poi, non uno solo, ma una sequela di uomini più grandi, con cui correre non tanto verso l’amore o una relazione, quanto verso qualcosa di pederastico, qualcosa di ben più distante e inafferrabile per l’immaginario comune.
Una crescita quasi encomiastica, un’unione sacerdotale dei corpi su base iniziatica, fondata su una sessualità segreta, indicibile, dissacrante. Perché nel mondo gay, spesso, il rituale alla Achille e Patroclo di avere un uomo che insegna la vita attraverso il sesso e il corpo è una costante. È l’adulto che traduce il desiderio in codice, che plasma l’inesperienza in esperienza, che introduce il ragazzo in un ordine nascosto, fatto di gesti e sottrazioni. È sempre stato così. Il fanciullo cresce e, per una serie di dinamiche di manchevolezza, riapplica il pattern al contrario: il twink invecchia e il jock svecchia. È una metamorfosi estetica, certo, ma soprattutto emotiva e simbolica, legata all’idea stratificata di passivo e attivo, di iniziato e iniziatore.
Oliver non è l’amante di Elio, è il suo pederasta. Non gli insegna l’amore, gli insegna il desiderio, la distanza, il linguaggio del corpo come mappa dell’esistenza. L’età non ha amore e l’amore non ha età, si dice. Vero. Ma è altrettanto vero che ogni età ha la fragilità della sua scoperta e della sua crescita. E nel mondo gay, questa scoperta avviene sempre mediante decodifiche normate da un adulto su un ragazzo, perché il ragazzo, non eteronormato in una società eteronormata, si ritrova spesso a non interagire con i suoi coetanei, e allora è costretto a imparare altrove. Da qualcuno che sa già come si sta al mondo. E l’ha appreso a sua volta per canali altri.
L’Iniziazione — forse più silenziosa: giovani gay, relazioni Asimmetriche e la mancata normalizzazione dell’omosessualità
Ebbene. C’è un fenomeno sottile, raramente discusso con l’onestà che merita: l’asimmetria di esperienza nelle relazioni omosessuali tra giovani uomini e uomini più maturi. Un fenomeno che non nasce dal caso, ma da una precisa costruzione sociale. Il punto di partenza è evidente: la mancata normalizzazione dell’omosessualità costringe molti giovani gay a una formazione sentimentale e sessuale diversa rispetto ai loro coetanei eterosessuali.
L’assenza di una crescita sessuale paritaria
Gli eterosessuali crescono immersi in una cultura che fornisce loro una grammatica relazionale quasi istintiva: le prime cotte a scuola, i flirt adolescenziali, le esperienze sentimentali che si sviluppano tra coetanei in modo organico. Non è mai stato così per gli omosessuali, almeno fino a tempi recentissimi, e non lo è ancora in molti contesti.
L’assenza di ambienti normalizzati in cui fare esperienza dell’omosessualità, senza vergogna o clandestinità, porta molti giovani gay a essere emotivamente e sessualmente acerbi anche quando sono già adulti. E cosa succede, allora? Che la ricerca di esperienza li spinge verso chi quell’esperienza ce l’ha già.
Non si tratta di un cliché, né di un’accusa morale, ma di un dato di fatto strutturale. La storia dell’omosessualità maschile è intrisa di questa dinamica. Da Platone alla Parigi fin de siècle, fino alle sottoculture urbane del Novecento, il passaggio dall’inesperienza alla consapevolezza si è spesso realizzato attraverso figure di uomini più grandi che facevano da “iniziatori”.
La dimensione della formazione, tra mentorship e relazione
Se oggi questa dinamica resiste, è perché il problema di fondo non è ancora stato risolto. Per un giovane gay, trovare tra i coetanei qualcuno che condivida il suo stesso percorso è ancora difficile, soprattutto nei contesti in cui l’omosessualità non è vissuta apertamente. L’accesso alla vita omosessuale – quella che potremmo chiamare esistenza reale come gay, fuori dal desiderio segreto e dal codice binario della società etero – avviene spesso attraverso uomini più grandi che hanno già imparato a muoversi in questo spazio.
Non è un caso che molti giovani gay finiscano su app come Grindr non tanto per il sesso, ma per la necessità di esplorare un’identità che non può svilupparsi altrove. E qui entra in gioco la questione della differenza d’età: è più probabile che un uomo di 18 anni trovi un 30enne disposto a interagire con lui, piuttosto che un coetaneo altrettanto inesperto. Il risultato è una formazione relazionale e sessuale sbilanciata, in cui il più giovane apprende dinamiche che non sempre sono a suo favore.
Potere e vulnerabilità: il rischio dell’asimmetria
Non è difficile capire perché questa situazione possa essere problematica. La differenza d’età non è di per sé un problema, ma lo diventa quando è il risultato di una forzatura sistemica. Se il giovane gay si trova in una posizione di inferiorità culturale, economica o esperienziale, il rischio di manipolazione aumenta.
Nel romanzo Call Me by Your Name di André Aciman, la relazione tra Elio e Oliver è dipinta con la malinconica bellezza della scoperta giovanile. Ma se spostiamo la lente sulla realtà, vediamo che dietro a queste storie si nascondono anche esperienze di sfruttamento emotivo e di costruzione di modelli relazionali disfunzionali. È un caso se molti giovani gay sviluppano dipendenze affettive con uomini più grandi, e poi a loro volta riproducono il modello quando invecchiano?
Il prezzo dell’iniziazione: cicatrici invisibili e dipendenze affettive
Questa dinamica relazionale, ripetuta ininterrottamente da generazioni di giovani gay privati di una crescita sentimentale organica, lascia segni profondi. Il primo è una pericolosa deformazione della percezione dell’amore e del desiderio: molti ragazzi imparano presto che l’attrazione si mescola al debito, che l’affetto si misura in concessioni, che l’esperienza non si acquisisce ma si riceve con un misto di gratitudine e sottomissione. Un’intera generazione di uomini cresce con la convinzione che il proprio valore sia definito dallo sguardo più maturo che li ha scelti, che l’intimità sia un privilegio da meritarsi, e non un diritto da esplorare liberamente.
Questa formazione sentimentale distorta si traduce, nel tempo, in dipendenze affettive croniche, in una reiterazione del modello iniziale: chi è stato educato da un uomo più grande spesso, inconsciamente, replica lo stesso schema quando invecchia, andando a cercare la sua versione più giovane da “iniziare”. Il sistema si autoalimenta, e chi è stato plasmato da un rapporto asimmetrico finisce, a sua volta, per vedere il desiderio come un esercizio di potere. Si creano così generazioni di uomini gay che, più che amarsi tra pari, imparano a gestirsi a vicenda, in un ciclo continuo di formazione, dominanza e abbandono.
E il danno più grande? L’incapacità di concepire l’amore come una possibilità orizzontale, paritaria, reciproca. L’idea stessa di un rapporto tra coetanei, senza squilibri di esperienza, diventa un’utopia mai vissuta, e dunque mai credibile. È il motivo per cui tanti uomini gay, anche in età adulta, oscillano tra relazioni sterili e fughe autodistruttive nel sesso impersonale. Se non hai mai imparato a desiderare senza dover chiedere il permesso, come puoi pensare di costruire qualcosa che non sia solo l’ennesima ripetizione del tuo primo errore?
Il problema della legittimità sociale
Il punto non è moralizzare queste dinamiche, ma analizzare il motivo per cui esistono. Il problema non è la differenza d’età in sé, ma il fatto che questa differenza sia l’unico modello disponibile per tanti ragazzi. In una società in cui l’omosessualità fosse davvero normalizzata, dove i giovani gay potessero vivere il loro orientamento senza ritardi o clandestinità, le loro esperienze relazionali sarebbero più simili a quelle degli etero: fatte di errori, tentativi, flirt tra pari, senza dover cercare scorciatoie nel mondo degli adulti.
Questa normalizzazione è ancora lontana. Anche nelle società occidentali apparentemente più aperte, la formazione relazionale dei giovani omosessuali è ancora troppo spesso lasciata all’autodidattica, all’imitazione di modelli etero inadatti, o alla scoperta improvvisa in ambienti che possono risultare ostili.
Infine: un’alternativa possibile
Cosa serve per cambiare le cose? Serve una presenza più strutturata di modelli di riferimento omosessuali, non necessariamente attraverso relazioni sentimentali, ma tramite una comunità più solida e inclusiva. Serve che il coming out non sia un passaggio traumatico che ritarda lo sviluppo emotivo, ma un’esperienza naturale e precoce. Verso di sé e non un altro antagonistico comune, intanto. Serve, insomma, una cultura che permetta ai giovani gay di non doversi formare nell’ombra, ma alla luce del sole, in un ambiente che li riconosca e li sostenga.
Fino ad allora, continueremo a vedere ripetersi il ciclo dell’iniziazione silenziosa. E ogni volta che qualcuno fingerà di stupirsi di queste dinamiche, sapremo che il vero problema non è chi è più giovane o chi è più vecchio. Il problema è che, per molti giovani gay, l’accesso alla loro stessa identità continua a essere un percorso a ostacoli.