Simone Leoni e il nuovo gioco dei forzisti
Leoni sta attuando una strategia precisa di ammodernamento di Forza Italia ma è solo vetrina. E qui vi racconto (anche) da cosa mi ha detto perché penso che stia sbagliando tutto.
Pasolini avrebbe probabilmente definito Simone Leoni “uno di quei giovani democratici che cercano di salvare il proprio corpo dalla decadenza morale del loro tempo indossando maschere progressiste” — perché Leoni incarna alla perfezione il dramma estetico e politico di una destra in crisi d’identità. Una destra che non si rigenera, ma si traveste. Una destra che non evolve, ma corregge l’intonaco di una facciata che cade a pezzi. Ha venticinque anni, la faccia pulita che crocifigge un Ninetto d’Avoli, lo sguardo fiero, e le idee già vecchie di trent’anni. È il nuovo segretario nazionale di Forza Italia Giovani — o, se vogliamo essere onesti, il volto fresco e sorridente di una linea politica che ha smesso di farsi domande dal 1994.
Leoni arriva con le sue sicurezze già impacchettate, il suo lessico da congresso delle libertà, e il suo tifo per l’ordine come se fosse uno stadio: “Pulizia! Sicurezza! Basta questi violenti dei centri sociali!” — perché secondo lui chi occupa case abbandonate è un pazzo da sedare, un violento, non un cittadino lasciato indietro. Almeno, si evince questo.
DL Sicurezza
A Leoni il Decreto Sicurezza piace. E parecchio. Per lui non è un problema che reprima il dissenso, blocchi le manifestazioni spontanee e criminalizzi l'occupazione di immobili lasciati a marcire. No, per lui è tutto ordine e pulizia.
Gli italiani — dice — vanno “protetti dagli incivili che occupano” (che siano comunisti, sempre gli stessi pazzi dei centri sociali, o chicchessia, è irrilevante).
Per lui, chi protesta per il diritto alla casa è un “malato sociale”, chi crede nella disobbedienza civile è un fastidio da sgomberare, almeno, ripeto, si evince ciò, e Ilaria Salis, candidata alle europee con AVS e con una dolorosa storia di fallimento di diritto internazionale sulle carceri in Ungheria, è semplicemente una “comunistella da quattro soldi”. L’ha detto davvero. Ecco, qui ogni dubbio sparisce.
Già, quella stessa Salis che oggi poteva essere in carcere in Ungheria con un processo-farsa e che lui, Leoni, ha apostrofato così. Poi, vedremo, Leoni stesso dirà a ME che adopero un linguaggio carico di “odio e fanatismo”. Lui. Quello che parla di malati, pazzi, gente da quattro soldi. La solita destra: dice che il problema è il tono degli altri, mentre ti toglie il megafono di mano e ti bolla come una minaccia all’ordine.
Berlusconi e la mafia: quando la storia fa paura
Naturalmente, essendo di Forza Italia, Leoni ha un culto devoto per il fondatore. Dice che Berlusconi è stato il politico che più di tutti ha combattuto la mafia. E lo dice sul serio. Come se il partito in cui milita non fosse stato letteralmente fondato da un condannato per mafia, Marcello Dell’Utri. Come se Vittorio Mangano, stalliere ad Arcore e mafioso conclamato, non fosse stato parte dell’organigramma domestico.
Come se Falcone, nei suoi appunti ritrovati dopo Capaci, non avesse annotato i nomi: Berlusconi. Riina. Graviano. 250 milioni di lire a semestre, pagati fino al 1994.
Come se non fosse cronaca giudiziaria che Berlusconi, pur senza mai una condanna definitiva per mafia, abbia usufruito di prescrizioni, leggi ad personam, condoni, indulti, evasioni fiscali, offshore, e amicizie pericolose.
Combattere la mafia, dice Leoni, è fare il 41-bis. Certo. Ma lo dice ignorando che quello stesso Stato, sotto Berlusconi, ha scritto una Costituzione parallela fatta di impunità, affari e leggi-cuscino per chi contava davvero.
La mafia da un lato in carcere, e dall’altro a cena.
Berlusconi ha distrutto tutto: le istituzioni, la classe media, la dialettica, la redistribuzione economica, il risparmio, il commercio, l'unità sociale. Ha trasformato un Paese in uno spot pubblicitario, la politica in cabaret, e per la prima volta — sì, per la prima volta — ha reso strutturale la povertà. In soli quattro anni.
E Gianfranco Fini, che non è esattamente Che Guevara, a un certo punto disse: "Berlusconi dovrebbe tacere. Ha usato l’Italia come un bancomat personale." Ma la ciliegina rimane quella negazione sfrontata e indecente: “Mussolini non ha mai ucciso nessuno, si limitava a mandare gente in vacanza.”
Ora. Mi rivolgo a Simone Leoni, che ha affermato pubblicamente che chi sostiene che Berlusconi non abbia mai contrastato la mafia è un ignorante. Bene. Apriamo la storia, quella vera. Cassazione. Sentenza. Pagina 46 e 47: grazie all’intermediazione di Dell’Utri, Silvio Berlusconi versava somme ingenti a Cosa Nostra in cambio di protezione. Un patto. Un accordo. La mafia protettrice, Berlusconi finanziatore. Pagina 52 e 53: i pagamenti continuano anche dopo la morte dei primi capi. I soldi arrivano ai nuovi boss, i fratelli Cullarà. La scena? Milano. I nomi? Gaetano Cinà, Pippo Di Napoli, Pippo Contorno. Tutto nero su bianco. Anche con i Corleonesi al comando, i rapporti non si interrompono. Berlusconi, invece di rivolgersi allo Stato, si affida alla mafia. Questa è la storia.
Casa, migranti e la schizofrenia della destra
Nel mondo di Leoni, occupare una casa sfitta è reato. Punto. Anche se quella casa è vuota da anni. Anche se l’edilizia popolare non risponde più a nessuna emergenza. Anche se la gentrificazione ha espulso intere fasce di popolazione dalle città.
Il diritto all’abitare? Una scusa da zecche. Il disagio urbano? Una malattia mentale. L’abbandono istituzionale? Colpa della sinistra, sempre.
Eppure, Leoni non dice nulla su CasaPound, che ha occupato immobili per anni a Roma.
Nessuna parola sul fatto che molte case “vuote” sono tenute lì proprio per speculazione. Nessuna riflessione sulla differenza tra legge e giustizia.
E i migranti? Non pervenuto. Anzi, sì. Ne parla quando si tratta di difendere l'accordo per deportare richiedenti asilo in centri detentivi in Albania: non più esseri umani, ma casi da valutare al telefono, in tre minuti, da una polizia esternalizzata e da un giudice italiano, per decidere se puoi restare in un Paese dove vivi da vent’anni.
Il paradosso? Leoni è tra quelli che promuovono lo IUS ITALIAE, che è una sorta di crasi firmata FI tra Ius scholae e Ius culturae, rivisitato alla berlusconiana: se sai dire Petrarca senza accento e ti sei comportato bene a scuola, forse ti diamo la cittadinanza. A patto che tu non faccia troppe domande, e non protesti per la Palestina — su Gaza, Leoni tace. Almeno, non ho trovato sue testimonianze in merito. Ma tranquilli: Tajani, il suo modello, è andato a Tel Aviv a fare il pellegrinaggio con la cravatta blu. Perché il blu, dice, “è il colore della Madonna” e le stelle dell’Unione Europea sono “ispirate alle dodici tribù di Israele”. A momenti dichiarava Israele fondatrice dell’UE.
In più, Simone Leoni ha avuto il coraggio di dire che il referendum -ricordiamo, per la possibilità di RICHIEDERE e non di OTTENERE - della cittadinanza in cinque anni anziché dieci, è sbagliato. Poi c’è sempre la possibilità che tu sia un americano che non sa manco dire buongiorno ma hai il trisavolo di Cosenza e quindi te la danno immediatamente.
Il moderato feroce
Leoni si presenta come moderato, ma è il solito centrismo di plastica: quello che predica tolleranza ma chiude porti e sgombera senza se e senza ma.
Quello che invoca la legge, ma non si fa mai troppe domande su chi la scrive. Quello che crede nella tradizione, ma non conosce la storia.
E ora, arriviamo al punto di questo articolo: cosa non mi convince di Simone?
Adesso. Capiamo che Leoni sia un uomo di Forza Italia. E l’aria — diciamolo — è quella. è palese. Ma c’è una questione interessante: appena eletto, Leoni attacca Vannacci. Lo definisce un uomo che dovrebbe vergognarsi (giustamente) per le sue posizioni aberranti su gay e disabili. Bene. Ma succede qualcosa di prevedibile: gli cade addosso una shitstorm. Il concetto di “tradimento” — che in Forza Italia è sacro come un vincolo mafioso — si attiva come un’allerta rossa. Persino suo padre, Silvio Leoni, ex paracadutista e reduce di missioni militari in Somalia, lo attacca pubblicamente: “Mio figlio? A stento può lucidare le scarpe al generale Vannacci.”
E allora no, non è un vero rinnovamento. Perché non puoi denunciare l’omofobia e l’abilismo per poi ripetere a pappagallo il “chi non lavora resti sul divano ma non a spese mie”. Non funziona. Non basta lucidare la vetrina se il negozio dentro è sempre lo stesso. Forza Italia è quella forza politica che arriva in ritardo su ogni conquista civile. Anni luce dopo la Sinistra (quella vera), si sforza di sembrare moderna usando parole nuove su idee vecchissime.
A un certo punto, poi, mi capita un suo profilo su Tinder. Dico “capita”, ma intendo dire: esce fuori una presunta identità. Anche perché delle fonti che mi davano un’idea precisa della sua vita privata le avevo già. Ma, premettendo che non so nulla della sua vita privata -e che non è neanche rilevante ai fini di questo discorso-, glielo faccio notare. Risponde: “È un fake. E la mia vita privata non sono affari tuoi.” Poi mi accusa di usare un linguaggio d’odio. Poi buonanotte (è stato gentile, dai).
Ma ecco il punto, Simone: non mi interessa la tua vita privata. Il punto è politico. Quando ti esponi pubblicamente, specie in un partito dove il tuo capogruppo crede che i gay siano malati, il contesto ti definisce più delle parole. Se critichi Vannacci — cosa sacrosanta — ma resti in Forza Italia, resti nel recinto.
E poi, diciamola tutta: se non ci fosse stata una certa esposizione mediatica (e magari un certo like da parte di Ozpetek), avresti fatto davvero quell’uscita? Non sapevi che sarebbe accaduto, che avresti smosso un polverone, anche perché ogni soffiata d’aria nella soffitta putrida alza della polvere? O è stato solo un modo per “posizionarsi”? Perché quando si parla ad personam (come le famose leggi del Berlusca) e solo quando la questione ci tocca, direttamente o indirettamente che sia — e non per convinzione politica — quello si chiama populismo emotivo. E ha una data di scadenza brevissima.
Ma ecco, Simone Leoni non è Mario Mieli. Né ci aspira. È un giovane di destra che tenta di ripulire l’immagine più graffiata del suo partito — quella sui diritti civili — ma senza toccare davvero il motore ideologico. Non è riformismo: è maquillage.
E sì, non fatico a credere che forse, se fosse nato in un altro contesto, con un altro padre, con un’altra storia, oggi sarebbe a sinistra. Perché qualche segno d’intelligenza c’è. Ma restare in Forza Italia, mentre si cerca di apparire “avanguardisti”, è come indossare una t-shirt arcobaleno a una convention di ultracattolici. Stona. È una tensione evidente tra il desiderio di civiltà e l’eredità retriva di un’ideologia conservatrice.
Non mi aspetto miracoli, né conversioni sulla via di Bruxelles. Ma se Leoni fosse onesto fino in fondo, e davvero volesse rappresentare un’alternativa, allora saprebbe dove andare. E non è lì dove sta ora.
Insomma, il giovanilismo come trucco
Simone Leoni quindi secondo me non è il futuro. È il passato travestito da futuro.
È la ripetizione scolastica di un copione già andato in onda, con meno fascino, meno tv, e ancora meno scrupoli. Dice di essere nuovo, ma ha già il profilo dell’italiano medio che vuole solo punire, dividere, normalizzare. Che ha paura del conflitto ma si eccita per l’autorità.
Che chiama “pulizia” ogni sgombero e “sicurezza” ogni manganello.
Il mio consiglio è: non ci cascate, a questo gioco della sferzante modernizzazione del Leviatano di ragnatele. I forzisti sono stati e saranno sempre coloro che hanno normalizzato i fascisti, dato dignità politica alla Lega Nord e aperto la strada al populismo più becero che governa quasi ovunque. E ora riprovano a tornare di moda chiamando Fedez (https://x.com/stanzaselvaggia/status/1929112294379651252?s=46).
E a 25 anni è già così. Figurarsi a 50.